sabato 19 aprile 2014

¡Dios no muere! La solitudine del Signore e il nostro zelo amaro

 
 
Diminutae sunt veritates a filiis hominum”, sono diminuite le verità tra i figli degli uomini  (Salmo 11). 
Vi sono epoche storiche in cui questo accade più che in altre. Vi sono epoche in cui il potere di questo mondo, ogni potere di questo mondo, politico, economico, intellettuale, non solo non cerca Dio, non solo non lo teme, non solo non ne ha rispetto (almeno rispetto): non ne ha neppure pietà. Vi sono epoche in cui è più forte e nitida la consapevolezza che l’ingiustizia del sinedrio e la barbarie del Calvario non avranno fine sino a che il Divin Giudice non tornerà per ristabilire per sempre ogni Giustizia. 
Oggi assistiamo ad un orrenda offensiva del peggior radicalismo occidentale contro ogni ordine sociale. L’offensiva colpisce ogni istituzione sociale fondata nella realtà eterna e nell’aevum di Dio: la famiglia, il lavoro, la comunità. La proiezione internazionalistica di questo monstrum ci sta probabilmente spingendo verso scenari sempre più plausibili di guerra, e di guerra ingiusta, mostrando così ancor più la sua spregiudicatezza ideologica.
Non è necessario essere più espliciti: ogni amico di Cristo non ottenebrato dall’ottundimento della propaganda del pensiero dominante sa di cosa si sta parlando. I nemici di Cristo lo sanno senz’altro benissimo. 
Quando capitano epoche di questo genere, conservare e difendere la verità di Dio è un dovere, ma anche un’impresa decisamente straordinaria, impossibile senza un soccorso soprannaturale. Vivere secondo Dio e difendere i Suoi diritti mentre il mondo intero afferma costantemente, in modo più o meno subdolo, il contrario. Vivere secondo Dio e difendere i Suoi diritti senza tutti gli aiuti che Dio stesso ha voluto donarci nell’ordine naturale: restare cattolici e farne di altri (allevare figli cattolici, curare parrocchiani, etc.) senza l’aiuto di vere famiglie cattoliche, di vere scuole cattoliche, di vere comunità cattoliche. Per non parlare della politica, dell’economia, della cultura. Insomma, conservare Dio nell’anima e fare le sue opere mentre tutto il mondo intorno a noi cerca di strapparcelo per sempre. Oggi sappiamo quale diabolica velleità si nasconda dietro ogni contemporanea “scelta religiosa”. La contrapposizione tra “interno” ed “esterno”, ma in fondo la sua stessa tematizzazione, è un vecchio artificio che il demonio usa da circa cinquecento anni per consegnare le società al dispotismo di poteri politici senza Dio e uccidere la fede nella anime. 
Sono di una profondità che davvero colpisce alcune riflessioni svolte da Gustave Thibon per mostrare le conseguenze della patologica scissione tra morale e costumi: “La crisi morale che tutti oggi accusano a gara è soprattutto una crisi dei costumi. Il peccato emigra sempre più fuori del luogo suo proprio (la coscienza e la libertà individuale) per installarsi, da una parte nel dominio della vita collettiva (regimi politici e climi sociali malsani), e dall'altra in quello della vita incosciente e quasi organica (nervi scossi, istinti pervertiti, ecc.). La zona del male propriamente morale rimpicciolisce sempre più, di modo che il moralista non sa più bene dove finisca il suo compito e dove cominci quello dell'uomo di Stato o del medico. Non ignoriamo che una simile deviazione dei costumi costituisce un clima ideale per il sorgere delle vocazioni eroiche; essa fa nascere per reazione degli esseri la cui purità morale risale la corrente dei costumi e crea una nuova salute tutta fondata sulla coscienza e sull'amore, tutta spinta verso la vetta dello spirito. Si pensi per esempio in quali condizioni biologiche e in quale atmosfera sociale venga oggi a trovarsi il dovere elementare della procreazione e quali tragici ostacoli debba talvolta superare. Ma uno stato di cose che tende, per così dire, ad appendere la sanità alla santità, non procede mai senza pericoli (abbiamo già visto quali); in ogni caso, esige una forza e una grandezza d'animo che non sono nelle possibilità dell'umanità media. Ogni sistema sociale che contribuisce a rendere necessarie, per la maggioranza degli uomini e nella condotta ordinaria della loro vita, virtù essenzialmente aristocratiche, si rivela appunto per questo malsano. Quanto alla pseudo-democrazia nata dallo spirito dell'89, essa aggiunge alla malvagità l'assurdità: fondata teoricamente sulla giustizia e sull'amore verso le masse, finisce per imporre praticamente agli individui di queste povere masse, se vogliono compiere il loro umile dovere, un eroismo che sarebbe appena ragionevole chiedere a non sappiamo quale pusillus grex evangelico. Se si cerca la ragione segreta della spaventosa temerità con cui gli spiriti rivoluzionari sconvolgono tradizioni e costumi che hanno fatto buona prova, la si trova in questa illusione 'angelica' che la moralità può e deve bastare a sostituire i costumi distrutti. Ma non v'è peggior misfatto sociale che forzare le masse sulle orme della santità ...” (Diagnosi). 
In certe epoche è fondamentale un atteggiamento: non cercare scorciatoie. Ogni tentazione di giungere presto alla metà, di voler vedere la vittoria già nel tempo, porta con sé il rischio non secondario di venire a patti con il mondo, anche solo per sottrarsi a quella terribile sensazione di solitudine che prima o poi il vero cristiano prova nella vita. Non ci sono scorciatoie: il Signore è morto solo sulla Croce. Basti per tutti l’esempio, mostrato da un recentissimo articolo di don Curzio Nitoglia (vedi qui), di Joseph de Maistre, campione della contro-rivoluzione, che in fondo, da quanto risulta dall’analisi di don Curzio, non avrebbe mai abbandonato l’idea di un accomodamento tra Dio e il mondo, in quella terribile forma di superbia che è la gnosi. Ma anche se si volesse contestare tale analisi della parabola intellettuale e spirituale di de Maistre, il rischio di fondo che don Curzio mostra resta vero per ogni cattolico. Quando si subisce la vis polemica delle forze anticristiche, è facile, per reazione, accoglierne le provocazioni e cadere nei loro tranelli. Non ci sono davvero scorciatoie. La vittoria verrà, ma forse non la vedremo noi. Conta solo fare la nostra parte. 
Ma – come si dice in questi casi – c’è un “ma”. Il quid proprium dell’ora presente è la crisi nella stessa Chiesa di Dio. 
È vero, è innegabile. I segni della crisi sono ormai parossistici in questi tempi. Nella lettera e nell’intervista tristemente note, un giornalista potente, ateo e non meno gnostico (“io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti”) come Eugenio Scalfari può dire al Pontefice romano in persona di non credere in Dio e di non cercarlo neppure, e sentirsi nondimeno offrire dal Papa una risposta tranquillizzante (“Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza”). Viene da domandarsi se sia ancora vero quanto recita il Salmo 13: "Dixit insipiens in corde suo, non est Deus ... Dominus de caelo prospexit super filios hominum, ut videat si est intelligens, aut requirens Deum", "lo stolto pensa: Non c’è Dio … Il Signore dal cielo si china sugli uomini per vedere se esista un saggio: se c’è uno che cerchi Dio". Resta senz’altro vero che, come dice lo stesso Salmo, questi potenti senza Dio divorano il Suo popolo come il pane: "Nonne cognoscent omnes, qui operantur iniquitatem, qui devorant plebem meam sicut escam panis?", "Non comprendono nulla tutti i malvagi, che divorano il mio popolo come il pane?". Un acutissimo intellettuale che ho avuto il piacere di conoscere di persona, un giorno ha sostenuto che a suo giudizio il Papa sarebbe responsabile – ricorrendo ad una metafora penalistica - di “intelligenze col nemico”. In verità sta diventando ormai sempre più difficile anche solo distinguere tra amici e nemici. 
È vero, la crisi nella Chiesa è terribile. E ora i cattolici che vogliono restare cattolici e agire da tali si sentono ancora più soli. Ma la lezione della storia non cambia: non ci sono scorciatoie. Occorre resistere e reagire nel solo modo possibile che è quello cristiano. Se si vuole ottenere tutto e subito, si rischia di perdere anche quel poco che ancora c’è. 
Un grande esempio di vero spirito di reazione costruttiva ci è dato dall’opera e dalle parole di Mons. Lefebvre: “ … malgrado tutto io non sono pessimista. La Santa Vergine avrà la vittoria. Ella trionferà della grande apostasia, frutto del liberalismo. Ragione di più per non star lì a rigirarsi i pollici! Dobbiamo lottare più che mai per il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. Non siamo soli in questa battaglia: abbiamo con noi tutti i Papi fino a Pio XII compreso. Hanno tutti combattuto il liberalismo per liberare da esso la Chiesa. Dio non ha permesso che riuscissero, ma non è una ragione per deporre le armi! Bisogna tenere duro. Bisogna costruire mentre gli altri demoliscono. Bisogna ricostruire le roccaforti crollate, ricostruire i bastioni della fede: prima il Santo Sacrificio della Messa di sempre, che fa i santi, poi le nostre cappelle che sono le nostre vere parrocchie, i nostri monasteri, le nostre famiglie numerose, le nostre imprese fedeli alla dottrina sociale della Chiesa, i nostri uomini politici decisi a fare la politica di Gesù Cristo; è tutto un tessuto di vita sociale cristiana, di costumi cristiani, di riflessi cristiani che dobbiamo restaurare, nella misura in cui Dio vorrà, quando Dio vorrà. Tutto quel che so, ce lo insegna la fede, è che Nostro Signore Gesù Cristo deve regnare quaggiù, adesso, e non solo alla fine del mondo, come vorrebbero i liberali! Mentre questi distruggono, noi abbiamo la felicità di ricostruire” (Ils l’ont découronné). 
Costruire senza zelo amaro, perché la Chiesa è di Dio, perché Nostro Signore è Re della storia tutta, perché ¡Dios no muere! 
 

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